mercoledì 27 luglio 2011

L’Occidente come il Titanic

L’andamento dei mercati nelle ultime settimane è davvero paradossale.

Dovunque nel mondo, e particolarmente in Occidente, si discute della crisi che sembra infinita e sempre più minacciosa, ma i mercati azionari restano molto in alto senza mostrare segni evidenti di soverchia preoccupazione.
Europa e Stati Uniti si agitano per restare a galla nell’oceano del loro debito pubblico e le loro economie boccheggiano, ma i loro mercati azionari, nonostante qualche leggero starnuto, mostrano una apparenza di ottima salute. Lo S&P500 e il Dax sono molto più che tonici e, almeno per il momento, non danno segnali di cedimento. Tutto ciò sembra, in effetti, piuttosto strano e con l’aumentare delle quotazioni societarie, crescono anche i dubbi sulla razionalità di chi opera sui mercati.
In questi giorni, giorni in cui è, o dovrebbe essere evidente, a tutti che i tappi messi nei buchi finanziari della Grecia, della Spagna, dell’Italia, dell’Irlanda e del Portogallo, difficilmente riusciranno a chiudere la falla aperta dalla insostenibile fragilità dell’Euro e, dall’altra sponda dell’oceano, prende sempre più corpo la prospettiva di fallimento “tecnico” nientedimeno che degli Stati Uniti d’America, le borse europee ed USA restano molto vicine ai loro massimi storici di sempre. Sembrano cose da pazzi.
A molti ritorna in mente il famoso film più volte visto e citato: Titanic.
La nave finita contro l’iceberg è l’Occidente, il Transatlantico dei Paesi di più antica industrializzazione, un intero mondo, una nave assai invecchiata e un po’ arruginita, guidata da comandanti screditati ed in crisi di idee. L’iceberg, solo in parte visibile, è di quelli giganteschi ed insidiosi, bassa crescita e competitività insufficiente, una economia tenuta in vita da un eccessivo indebitamento. L’Occidente va, come nave senza nocchiero, nella grande tempesta indotta dalla globalizzazione.
Eppure, nonostante queste drammatiche evidenze, paradossalmente, le borse sono ai massimi, perché gli investitori restano ottimisti. Il paradosso è, in realtà, solo apparente. Per quanto possa apparire strano ai non addetti ai lavori, la finanza è come una macchina da corsa il cui motore non è più alimentato dall’economia, ma, da qualche anno, gira solo grazie alla politica. E più la macchina è a corto della benzina dell’economia reale, più aumenta l’alimentazione fornita dalle politiche monetarie.
Gli investitori sanno che per non far mancare il carburante necessario alla macchina, gli stati uniti d’Europa e d’America hanno stampato, stampano e stamperanno Euri, Sterline e Dollari e che, anche nei prossimi mesi, ci sarà grande disponibilità di denaro a basso prezzo. E’ altamente probabile, infatti, che anche la BCE, come stanno già facendo da tempo la Banca d’Inghilterra e la FED inizierà a stampare massicciamente le nuove banconote necessarie per acquistare i titoli dei PIIGS e che le tre banche centrali tenderanno a lasciare i tassi ufficiali ancora ai livelli minimi.
E tutta questa liquidità, generando inflazione, farà salire tutti i prezzi e finirà molto probabilmente per essere in buona parte investita in attività speculative e, almeno in parte, in Borsa.
Questa prospettiva fa sì che le borse tengano, nonostante tutto.
Che lo stato di salute della finanza in Occidente non sia proprio rassicurante è testimoniato dall’andamento dell’oro in costante ascesa ed è confermato dalla forza del franco svizzero e dal parallelo declino del dollaro. I loro trend aiutano a capire lo stato d’animo preoccupato degli investitori e dei decisori delle politiche monetarie.
Quindi, la contraddizione fra il pericolo di naufragio debitorio dell’Occidente e la tenuta dei mercati azionari è solo apparente e può essere facilmente spiegata.
Il vero fatto paradossale è, invece, che la crisi globale nata da eccessi di liquidità venga combattuta con cure da cavallo basate su ulteriori iniezioni di liquidità.
Per concludere, in questo scenario, almeno per il momento, non si intravedono elementi o fattori emergenti in grado di alterare o modificare sostanzialmente le tendenze di fondo.
Se ci saranno novità queste potranno venire esclusivamente dalla politica. La politica, come si sa, è l’arte del possibile, ed è anche l’arte di saper scegliere il male necessario per evitare il peggio, e, come abbiamo visto durante la crisi delle banche, può inventare di tutto. Ma, a mio parere, se non intervengono nuove invenzioni politiche o fattori, oggi imprevedibili, in grado di produrre nuovi shok ai mercati, le tendenze che abbiamo descritto dovrebbero perdurare almeno per i prossimi mesi. Quindi, avanti cosi, avanti tutta, senza però trascurare di tenere sempre pronte ciambelle e scialuppe di salvataggio.

“Bada alle piccole spese: una piccola falla affonda una grande nave”

                            Benjamin Franklin

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